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L'oro di Colombo
seconda puntata


Maurice sembrava nervoso. Aveva appena finito di rileggersi il mio articolo mangiucchiandosi le unghie ed ora mi guardava con un'espressione incerta.
“Bello, sì. Cosa vuoi che ti dica? Che non è interessante, o che é scritto male? Potrei dirti che non c'é spazio!” si alzò sbuffando dalla scrivania e s'avvicinò alla finestra. Nella camicia bianca alla luce dei tropici sembrava un uomo d'altri tempi. Era l'unico, a parte i camerieri del Marco Polo, ad indossare una camicia bianca, laggiù. Osservai che gli mancavano le bretelle, e poi poteva essere uscito da un film sui reporter americani. Il pensiero mi fece ridacchiare, lui si voltò.
“Sai qual'é il problema?”
“Qual'é? Dimmelo tu.”
“E' che quelli là ci stanno usando!” sbuffò.
“Mi sembra che ci abbiano dato già qualcosa, in cambio. La rivista ha raddoppiato le copie, e noi abbiamo alzato i prezzi della pubblicità.”
“No, i soldi non sono tutta la faccenda, caro mio: qui c'entra l'onestà. Le loro attrezzature! Insomma, le tue foto le ho viste anch'io, uno che non se ne intende, ma quella è roba d'anteguerra! Roba che affonda alla prima mareggiata!”
“Hanno investito tutto nell'elettronica.”
“Che non hanno pagato” ribatté fissandomi negli occhi.
“Tu sai qualcosa che non io so” dissi. Non riuscii a mascherare un certo disappunto.
“La Royal Bank di Puerto Plata ha ricevuto solleciti di pagamento da oltremare” sibilò Maurice.
“E la loro licenza concessa dal Governo sta per scadere”aggiunsi io stancamente.
“Vedo che questo, almeno, lo sai! E tra un pò ci sono le elezioni” disse con sarcasmo.
“A me, ai lettori, interessa la storia, qualcosa da leggere. Un pò d'avventura?”
“Non ti sembra ci siano gli estremi per un colpaccio? Si cucinano i nostri lettori, lanciano una sottoscrizione e via, chi s'è visto s'è visto… altro che tesoro di Colombo, con fili, spaghi e pontoni marci! Ma scherziamo?”
“E' possibile, chi lo nega? Ma come annusiamo qualcosa di losco, non gli diamo più una mano.”
“Troppo tardi, leggi qua!”
Il quotidiano Nacional riportava i fatti, citando il mio primo articolo.
“Questo ci farà aumentare la tiratura! Il Nacional!”
“Si, lo so” ghignò Maurice, cercando di nascondere la sua soddisfazione.
“Allora, lo pubblicherai?”
“E' già impaginato, per l'edizione speciale. Cosa vuoi che faccia?”

Balaguer, il presidente della Repubblica Dominicana, era in carica da oltre venti anni, puntualmente rieletto ad ogni ballottaggio. La gente lo amava, ma questo non voleva dire che le cose andassero bene. Poteri in auge da così tanto tempo finiscono per favorire una rete oligarchica che espande le sue radici su favori e corruzione. Molte piantagioni di canna stavano chiudendo, la crisi mondiale dello zucchero si faceva sentire su d'un paese allo stremo, dove a malapena si garantiva il minimo di sussistenza alimentare per ogni abitante. Un minimo garantito solo nelle campagne. Nelle grandi città, in giro per le sterminate bidonville, imperava la fame, mentre una piccolissima cerchia di poche famiglie disponeva del 95% della ricchezza del Paese. Questo squilibrio aveva portato ad una crescita vertiginosa del Partido Blanco, l'opposizione. A capo del Partido Blanco s'era posto un certo Peña Gómez, un socialista di idee rivoluzionarie e con forti simpatie per la Cuba di Castro. Queste simpatie, ovviamente, non erano affatto gradite dagli americani, i signori della regione. Intanto, ad Haiti, paese confinante, era scoppiata la rivolta. Haitiani derelitti sfidavano le mitragliatrici delle guardie di confine per andare a pesare su d'un paese già povero, ma agli occhi di conosceva solo fame, fame cieca la Repubblica Dominicana era vista come una piccola Svizzera. Peña Gómez si diceva fosse d'origine haitiana. E, come tutti gli haitiani, era sicuramente dedito al vudù. Anzi, era sicuramente un maestro di cerimonie vudù.

“Dicono che domani sera la televisione manderà in onda un filmato dove si vede Peña Gómez che compie un rito vudù!” me lo sussurrò Alejandra mentre mi serviva una Corona ghiacciata, ma la cosa era ormai sulla bocca di tutti. Alejandra, come quasi tutti i proprietari di qualcosa, nel suo caso un bar sulla spiaggia, e come tutti i cattolici ferventi, era dalla parte del Partido Rojo, il partito di Balaguer.
“Lo so, me lo hanno detto” commentai, ma lei doveva aver colto un'espressione scettica nel mio sorriso, perché quasi s'adirò con me.
“Non ci credi?” domandò.
“Non ce lo vedo un socialista che beve il sangue delle galline!” risi.
“E' haitiano! Tutti gli haitiani seguono la Santería Negra! Come i Duvalier, che hanno regnato per anni ad Haiti, solo con la magia nera! Noi quella roba non la vogliamo!”
“Sarà, ma io un socialista non ce lo vedo.”
“Tu non sei nato quaggiù, tu non puoi sapere.” M'era arrivato alle spalle con un tono cupo. Era un uomo anziano, col cappello a falde flosce, la carnagione scura e due occhi azzurrissimi. Non l'avevo mai visto in giro. La profondità del suo tono mi fece tacere.
“Fidati di chi è quaggiù da anni, quel Peña Gómez ci porterà tutti gli haitiani dentro casa, gli Americani ci abbandoneranno a noi stessi, sarà la rovina. Ma questo la gente non lo comprende.”
“C'è molta ingiustizia, quaggiù” osservò un altro straniero. Era un tedesco, lo conoscevo di vista, ma non avevo ancora capito se vivesse là, oppure fosse uno di quelli che per un motivo o per un altro, a corto di soldi o per qualche ragazza, restavano in 'vacanza' a tempo indeterminato.
“La giustizia è solo la volontà de Dios!” Alejandra alzò gli occhi al cielo.
“Perché tu sei nato alemán, e io dominicana? Perché tu da bambino andavi a scuola ed avevi le scarpe ed io no? Sai dirmi perché?”
“Non lo so il perché, so solo che non è giusto” replicò il tedesco.
“Io lo so, il perché! Lo ha deciso Dios per metterci alla prova!” urlò lei, e sparì in cucina facendo frusciare il suo abito di raso rosso.
“Lo ha deciso Dios, lo dice Dios!” bofonchiò il tedesco, “tra un po' inizierà la Semana Santa, la settimana di Pasqua. Sai cosa faranno?” continuò rivolgendosi a me, “si metteranno a bere marci, ma marci! E a ballare, e a litigare. La metà di loro affogherà ubriaca in mezzo metro d'acqua. Sai che la maggior parte qui non sa neanche nuotare? Io me ne vado a Santiago, in città. Vedrai quanti se ne porterà via, il loro Dios! Io qui al mare non ci resto.”
L'uomo anziano, intanto, era sparito.

“Ho comprato centocinquanta casse di birra e venticinque di ron. Il problema è che non si troverà il ghiaccio! Faranno tutti festa, anche quelli del ghiaccio” disse Alejandra orgogliosa della sua pila di casse nel retro. C'era vento, quella mattina, ed il sole cuoceva già. Il retro del suo bar era un posto fresco, ma invaso da centinaia di mosche attratte dalle bucce di banana e dagli avanzi dei frullati nel bidone della spazzatura.
“E tu, quando lo scriverai un articolo su di me?” Si mise in posa con una mano sui fianchi ed ancheggiò maliziosa. Indossava sempre vestiti dai colori squillanti, rosso, giallo acido o blu elettrico, di raso o di cotone purché si notassero carnagione e capigliatura scure. Due occhi a mandorla furbissimi saettavano nel visetto proporzionato. Glielo dissi.
“Sei così bella che un articolo lo meriteresti davvero.”
“E allora scrivilo!” “Fammi pensare...”
“Una foto. Su, cominciamo con una foto!” Si tirò su il vestito lungo la coscia, e lanciò i capelli all'indietro con l'altra mano.
“Un po' di fiori tra i capelli e ci sei” dissi io.
“Qui i fiori non li ho” osservò preoccupata.
“Ed io non ho la macchina fotografica.”
Mi si avvicinò come con piccoli passi di danza, guardandomi dal basso in alto, fino a sfiorarmi. Poi scoppiò a ridere.
“Non mi compri così” le dissi.
“Allora accontentati d'un Cuba Libre, maricóncito!”.
Il bicchiere pieno finì sotto il mio naso con un rumore secco.

“Hai novità dai cercatori di tesori?” Carlo era stato per anni nella Marina, possedeva un bel ristorante in un punto molto frequentato ed era un subacqueo. Ed era anche l'unico che aveva smesso d'odiarmi per aver dato tutto quello spazio agli inglesi. Ma quella sera ero lì principalmente perché volevo gustarmi in compagnia il filmato del futuro presidente intento a bere sangue di gallina.
“No, non li sento da due settimane, ormai. Stanno ancora cercando.”
“Non troveranno mai niente. Come fanno... Sai quanto è grande quell'area?”
“Bisogna pur cominciare, no?”
“Ho visto che avete alzato i prezzi della pubblicità. Non è che puoi metterci una pezza?”
“Non sei l'unico a chiedermelo. Mettial così: più lettori, più potenziali clienti. O no?”
“Dopodomani chiudo i battenti e me ne vado a Miami a cercare tutte quelle cose che mi servono e che qui non si trovano mai” disse cambiando discorso. Il ventilatore a pale cigolava dal soffitto, ma almeno faceva un po' di fresco e teneva lontane le zanzare.
“A che ora c'è la scena del pollo in tv?”
“Dicono che l'hanno spostata di dieci giorni per via della Semana Santa.”
“Che pagliacciata” commentai ridendo.
“Lo so, ma è pur vero che un sacco di gente s'offenderebbe: il vudù in tv nelle ferie di Pasqua… qui molti son credenti.”
“Già, ci siamo quasi.”
“Dopodomani, inizia dopodomani la Semana Santa.”

Iniziò. Calarono i primi campesinos dai campi. Li riconoscevi perché molti di loro, non avendo mai visto il mare pensavano di essere al fiume, un fiume grande. La gente della costa rideva delle loro espressioni sorprese quando quei poveretti s'accorgevano che l'acqua era salata, e che in quel ‘río' non ci si poteva lavare perché il sapone non funzionava. Cominciarono a spuntare le prime tende sulla spiaggia ed i primi incidenti di ubriachi investiti dalle automobili con al volante autisti nelleo stesso stato. C'era un sacco di polizia in giro. Arrestavano a caso, senza un vero motivo, più o meno tutti quelli beccati a bighellonare senza soldi che gli capitavano a tiro. In due giorni le spiagge si ricoprirono di una marea umana, danzante e schiamazzante. E al mercoledì erano già tutti troppo ubriachi per azzuffarsi a morte e le episodiche risse difficilmente finivano con conseguenze gravi. Un giorno, dal cielo, lanciati da un aereo, scesero dei volantini. C'era la foto di Balaguer, lo scudo crociato del Partido Rojo, e la scritta:
“Un Voto para Balaguer es un Voto para Dios.” La gente in spiaggia, col naso in aria, guardava quei fogliettini cadere forse da qualche nuvola lassù. Udii qualcuno gridare:
“Balaguer es Dios!”
S'alzava il numero degli affogati. Giovedì Santo eravamo già a quarantacinque.

Matt mi voleva parlare. Era a Puerto Plata, aveva lasciato un messaggio al giornale. Presi un taxi. Mi ricevette nella hall di un vecchio albergo in stile coloniale, un tempo di gran fama, poi surclassato dagli enormi complessi “full-inclusive” più recenti. L'atmosfera un po' trasandata non toglieva nulla al suo vecchio fascino. Matt era seduto su d'una grande poltrona di vimini e leggeva il giornale dalla stecca, cortesia che i cinque stelle non usavano ormai più per i loro clienti preoccupati solo di aria condizionata e bevande pompate per bene. Sembrava pensieroso.
“Novità?”
“Una buona e l'altra cattiva” disse Matt. Notai che il suo sguardo era febbricitante, la sua pelle era lucida.
“Cominciamo con quella cattiva, allora.”
“Abbiamo assunto un divemaster, un belga, alcuni giorni fa.”
“Non mi sembra una cattiva notizia” suggerii incuriosito.
“S'è fatto male. E' finito in camera iperbarica, s'è beccato un'embolia gassosa al midollo spinale. Ne avrà per un po', sempre ammesso che si riprenda, povero ragazzo.”
“E dov'è ora?”
“All'Hospital General di Puerto Plata” disse in un fiato. “Hanno una camera iperbarica.”
“Come ha fatto?”
“Non lo so, era da solo, ha mancato uno stop di decompressione, è rimasto cosciente per poco, poi è svenuto e l'abbiamo evacuato con l'elicottero.”
“Non avevate una camera iperbarica a bordo?”
“Era grave, non ci siamo fidati di trattarlo noi.”
“Accidenti, non ci voleva! A che quota era?” domandai.
“A 45 metri.”
Restammo in silenzio. Una nuvola, gettando un'ombra tetra sul patio, passò come una lieve scossa.
“E la buona notizia?” domandai.
Matt estrasse una busta gialla, di quelle imbottite che si usano per spedire plichi postali. La aprì. Mi mostrò delle foto 15x25, a colori ed in bianco e nero. Sembravano coralli, o sassi. Le esaminai meglio.
“Sono cannoni.” La risposta me la fornì Matt prima ancora che riuscissi ad indovinare qualcosa di familiare in quelle strane forme.
“Cristo, ci siete!” bisbigliai tentando di nascondere la mia emozione. Matt con un cenno della mano mi fece tacere, poi schioccò le dita ed ordinò due Matusalem. Notai che i suoi polsi avevano tremato.
“Potrebbero essere di qualsiasi nave, di qualsiasi epoca, non lo sappiamo. Potrebbero essere volati fuoribordo, gettati fuoribordo durante una tempesta, chissà.” Intanto il rum era arrivato, e lo sorseggiammo in silenzio. Proseguì:
“Non so che fare. Non so neanche se facciamo bene a dirtelo, potrebbe essere l'ennesima beffa del Silver Bank. Ti lascio le foto. Fanne ciò che vuoi.”
“Portàteli su e guardàteli, allora.”
“Pesano troppo. Non ce la facciamo con le attrezzature che abbiamo, rischiamo di danneggaire il pontone” disse Matt.
“Cosa volete che faccia?” domandai.
“Non lo so. Ci fidiamo. Ma non ci viene in mente nulla sul da farsi.”
Ci salutammo in fretta. Avevamo entrambi degli impegni. Iniziai con l'Ospedale di Puerto Plata. Era un edificio grigio e malconcio, dai muri scrostati. Le pareti dei corridoi erano verniciate fino ad altezza d'uomo d'un verde scuro, governativo, tetro. Notai delle chiazze di sangue rappreso che nessuno s'era curato di ripulire. Mi ci volle un po' prima di incontrare qualcuno che sapesse cosa stesse succedendo lì dentro. Dagli stanzoni fitti di malati veniva un odore nauseante di materiale organico misto a disinfettante.
“Wilfred de Groote, eccolo: è stato dimesso due giorni fa, e trasportato a Miami, in un centro specializzato, in aereo.”
“A spese di chi?” domandai. Quei trattamenti erano costosissimi.
“Non lo so, credo un'assicurazione subacquea.”
“Dov'è adesso?”
“Non sappiamo in quale ospedale si trovi, ma sicuramente a Miami.”
Ringraziai ed uscii.

Fine seconda puntata. Continua...