L'immersione del 22 settembre 2001
di
Sandro Leonelli
Lega Navale di Piombino
Ci ritroviamo, in anticipo sull'orario previsto, nella nostra sede della LNI a Salivoli, in una fresca mattinata di settembre.
La giornata al suo nascere si presenta sgombra da nubi ma con un vento teso da N/E. Non male, il luogo d'immersione si trova in una zona a ridosso e quindi, anche se il mare nel canale è arricciato, con grande energia prepariamo tutto il materiale. L'umore è alto, fra di noi ci scambiamo le ultime raccomandazioni sull'immersione da effettuare e riepiloghiamo i nostri compiti. La navigazione è abbastanza impegnativa, ma non fuori dal comune, dato che il canale sul quale stiamo navigando ci ha già abituato negli anni al suo comportamento repentino e irrequieto.
Arrivati sul luogo accendiamo l'eco-scandaglio, un ultima occhiata ai riferimenti di terra ed ecco apparire sullo schermo la forma di un'afferratura. Caliamo successivamente la cima guida zavorrata direttamente sul "ferro" e le colleghiamo una robusta boa che sostiene a sua volta due bombole con quattro erogatori ciascuna per le necessità previste durante le tappe di decompressione.
La tensione comincia a farsi sentire, il fatto di averlo sognato le notti precedenti, ci crea un pizzico d'emozione. Di tutte le idee che mi sono fatto su questa nave, di continuo mi domando quale sarà quella giusta.
Ci vestiamo, montiamo le bombole e le controlliamo per l'ennesima volta: tutto ok!
Arriva il momento del tuffo in acqua e l'adrenalina comincia a scorrere fino a farsi sentire in ogni estremità del nostro corpo. Un gesto d'intesa con i compagni e poi giù verso l'ignoto.
L'acqua è trasparente, ma la visibilità viene disturbata da un leggero termoclino che incontriamo verso i -30 metri, ma poco dopo tutto ritorna normale. A mano a mano che ci avviciniamo verso il fondale, che si trova a -65 metri, una leggera posata di sedimenti si mantiene stabile e ci avverte che non c'è corrente.
Poi finalmente, dopo circa tre minuti, ecco una forma indistinta: una fiancata di una nave.
Davanti a Portoferraio, all'altezza delle spiagge di Nisporto un'importante relitto concorre ad aumentare l'interesse per quell'angolo di mare, già ricco di numerosi punti d'immersione adatti all'osservazione della biologia marina.
La profondità a cui bisogna spingersi è rilevante, decisamente al di fuori dei limiti consigliati da tutte le didattiche ricreative, dal momento che vengono effettuate respirando aria.
L'emozione è alle stelle, dopo tanti anni e sogni, finalmente ci troviamo sopra le strutture di questo amato relitto. La nave è inclinata su un fianco e mi lascia per un po’ frastornato, anche grazie all'azoto respirato a queste pressioni. Niente paura, prima di avventurarci controlliamo ancora una volta tutto: la pressione dell'aria della bombola è a 180 atm., l'erogatore ci abbonda d'aria fresca, gonfio quel tanto il mio giubbetto idrostatico per neutralizzare la forza di gravità che ci spinge verso il basso e da ultimo mi giro attorno per comunicare con gli altri. Tutto ok! Parte l'esplorazione.
Occorre nuotare con grande circospezione, perché ad ogni pinneggiata si rischia di alzare una fitta sospensione, dato che il fondale e parte del relitto è ricoperto dal fango.
Tutt'intorno grandi sovrastrutture, lamiere contorte e un grande caos, rappresentano l'idea del resto della nave. Un attimo dopo, il computer che ho fissato al braccio sinistro, comincia a suonare e mi avverte che ci troviamo da ora in poi "fuori curva". Gli Americani la chiamano "zona go - no go", punto da cui non si può tornare indietro senza prima fare delle lunghe soste di attesa. Da questo momento in poi, il controllo reciproco con i nostri compagni deve essere più frequente.
La macchina fotografica mi crea qualche problema, dopo la carica al fotogramma successivo, la leva non ha più voglia di ritornare e sono costretto, per trentasei volte, farlo manualmente. Pochi minuti dopo e anche il flash va in avaria : bé, tutto sommato è garantito per -50 metri ed è già tanto che non sia allagato.
Sorvoliamo la fiancata e ci lasciamo cadere verso la coperta inclinata sul lato sinistro e comincio a far fatica a trovare il giusto equilibrio mentale per creare delle belle foto: la luce è fioca e il ragionamento per arrivare a comporre una fotografia è molto lungo. Praticamente mi ritrovo a scattare foto senza riuscire a studiarle bene.
Si riconoscano a fatica particolari che nella realtà avevano un ruolo determinante per la vita della nave. Mi riferisco a quegli oggetti in uso su tutte le navi, fra cui le bitte di ormeggio, l'occhio di cubia stampato sulla fiancata di prua, l'argano per recuperare le ancore. D'obbligo è stata la presenza di torce subacquee che hanno messo in risalto le grandi stive interne che si materializzano alla luce. I pesci rappresentano una vera e propria esplosione: branchi di anthias, boghe e zerri cingono il relitto come una nuvola pullulante di vita.
Verso la parte poppiera il relitto si interrompe nella sua linea, mettendo a crudo la verità di come è finito sul fondo del mare: una grossa devastazione si materializza ai nostri occhi e notiamo che le lamiere, in questo punto, sono arricciate come le bucce di una banana appena sbucciata.
Tutto questo ci appare come essere in un mondo spettrale, reso ancora di più, dalla presenza in qualche punto da dei pezzi di rete a maglie larghe.
Una pacca sulle spalle mi riporta alla realtà: è già ora di risalire.
Il mio compagno, con cui ho fatto coppia, mi avverte che siamo prossimi ai fatidici 15 minuti e così, con grande malincuore, abbandoniamo le sovrastrutture e ci portiamo in prossimità della cima-guida con la quale ci affidiamo per tornare in superficie.
Per l'ultima volta ci giriamo indietro per guardare, consapevoli che sarà molto difficile avere altre occasioni di tornare.
Ormai, dopo tre immersioni, con 45 minuti totali di permanenza su quel relitto, ci eravamo affezionati: sapevamo di averlo trattato con il massimo rispetto e di essere stati ricambiati con onore.
La profondità e le condizioni di trasparenza dell'acqua, trovati in quei giorni di settembre, spesso non hanno consentito di godere delle visioni globali del relitto che si trova con la prua diretta verso nord e adagiato, con la parte prodiera troncata, sul fianco di sinistra.
Le sensazioni che abbiamo vissuto sulla nostra pelle sono state uniche, non paragonabili certo ad altre. In qualche momento delle immersioni sembrava perfino di avvertire la presenza dei fantasmi di coloro che hanno viaggiato per l'ultima volta. Le correnti, che creavano condizioni di scarsa visibilità, il silenzio, rotto dal rumore dei nostri erogatori, hanno contribuito a creare queste sensazioni di realtà sovrannaturali.

Tutto sommato abbiamo totalizzato tutte le nostre immersioni senza problemi, abbiamo fatto riprese video, fotografiche, abbiamo deposto la targa come promesso, vissuto momenti emozionanti ma soprattutto siamo già pronti per nuove avventure.

Di sicuro, il relitto dell'Andrea SGARALLINO, vivrà sempre nei nostri cuori!






 <<<

 scheda

 storia

 foto storiche

 immergersi con

 pubblicazioni