Un relitto simbolo
di
Sergio Loppel
Il 9 Settembre del 1943 era un giorno pieno di sole e il mare di fronte alla costa del levante genovese, nell’arco tra il Promontoriodi Portofino e le propaggini della diga del porto, era spazzato da una leggera brezza di tramontana che teneva il mare piatto come una tavola.
Sono le ore 8,30 del mattino. Una piccola unità della nostra Marina Militare: il Posamine Pelagosa, esce dall’imboccatura del porto di Genova, seguendo un sentiero di rotta parallelo alla costa per evitare gli sbarramenti minati posti a protezione dell’imboccatura del porto.
Si dirige verso levante, con destinazione Livorno, ubbidendo agli ordini appena ricevuti da Supermarina, che gli impone di sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi. Le truppe tedesche infatti a seguito delle vicende dell’armistizio,hanno iniziato l’invasione del territorio genovese occupando tutte le postazioni strategiche. Il Pelagosa, comandato dal Primo Ufficiale, visto che il Comandante era irreperibile quella mattina, guadagna il largo salpando per evitare di cadere in mano germanica.
I tedeschi, nel frattempo, hanno occupato anche le batterie costiere di Monte Moro piazzate sopra l’abitato di Nervi.
Alla vista della nave, queste aprono immediatamente il fuoco. Dopo le prime salve d’inquadramento, le granate centrano in pieno lo scafo che sbanda sulla sinistra e che piega lentamente verso la costa di Quarto dei Mille. Appena il tempo per qualcuno di gettarsi a mare che il Pelagosa s’inabissa di prua a circa un miglio e mezzo dalla costa.
Queste sono le scarne notizie che avevo racimolato al tempo della scoperta del relitto. Sono passati ormai ventott’anni da quel giorno che assieme ad un gruppo di amici decidemmo di andare a vedere cosa rimaneva di quella piccola e sfortunata nave da guerra.
Nel cercare di rintracciarla attraverso punti nautici abbastanza approssimativi e attraverso immersioni e discussioni a non finire, ci eravamo fatti un’idea molto emblematica di quel relitto. Erano passati 32 anni dall’affondamento e mai nessuno ne aveva evidenziato il significato che essa rappresentava. E si, perché il Pelagosa è considerata la prima nave da guerra italiana colata a picco dopo l’armistizio dell’8 settembre, a seguito di un evento bellico provocato dall’ex alleato germanico.
Ricordo ancora le ricerche e le indagini fatte interrogando vecchi pescatori di Quarto e di Sturla, alla periferia di Genova. Ricordo le immersioni fatte con gli amici del mio club. E come dimenticare l’emozione del ritrovamento.
Un pomeriggio incocciammo la sagoma scura del Pelagosa su di un fondale fangoso tra i 35 e i 40 metri . Il relitto era spaccato in due tronconi, dei quali uno, quello di poppa, completamente rovesciato con le due grandi eliche che parevano remigare nel blu cupo. Attorno pezzi di ogni genere. Frammenti di bordo che testimoniavano del suo tragico epilogo. Verso il largo, più a levante, due mine tondeggiavano legate ad una grossa catena che si perdeva sul fondo. Il troncone di prua, ritto in verticale, aveva ancora l’ancora di dritta incastrata nella cubia. L’altra, quella di sinistra aveva sfilato la catena, cadendo sul fondo.
Il cannone da 75 mm sembrava ancora in posizione. Dentro la quinta di un grande squarcio si indovinavano oggetti e suppellettili di bordo. Venni a conoscenza che ci furono dei marinai dispersi quel giorno. Sicuramente qualcuno rimase prigioniero del relitto e allora contattai il Comando di Squadra della Marina Militare a La Spezia. Organizzammo quella che forse rimane l’unica manifestazione ufficiale commemorativa ai caduti fatta assieme tra Autorità e subacquei alla presenza di un relitto.
Il 9 Settembre del 1975, il Dragamine “Pino”, giungeva espressamente dalla base di La Spezia con a bordo il Comandante di Squadra. Presenti i mezzi dei Carabinieri Subacquei, della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco, al suono del silenzio l’equipaggio presentava le armi al drappello dei sommozzatori che s’immergevano con una corona d’alloro.
Sono trascorsi molti anni e ogni tanto ho fatto ritorno al Pelagosa per qualche curiosa immersione. Mi sono immerso con la macchina fotografica e con la cinepresa e mai il buio di un relitto mi è sembrato più accattivante, più misterioso e, nel medesimo tempo più rassicurante di “lui”.
Per molti anni il Pelagosa è stato una vera miniera di souvenirs per tanti subacquei. Ho visto recuperare oggetti che hanno fatto la storia della marineria da guerra del secolo scorso. Oggetti che, sono certo, sarebbero andati perduti, scomparsi nell’insabbiamento del relitto ora quasi sparito nel fango del fondale. Oggetti perfettamente conservatisi, come quel magnifico fanale: il “bianco di via” che conservava al suo posto ancora l’originale lampadina “Osram”, perfettamente funzionante alla nostra verifica e che ora è in bella mostra presso il museo dell’Osram a Milano.






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