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Sono le 21.00 passate da poco del 5 settembre (2003), ma è ormai notte fonda, segno che l'estate sta per svanire e che il crepuscolo invernale avanza. L'atmosfera è quella di una reimpatriata tra vecchi amici, eppure al tavolo siedono persone dalle storie molto diverse quanto lo è l'età anagrafica. Sono con alcuni rappresentanti dell'associazione Marinai d'Italia ospite a cena di Carlo Pracchi e Salvatore Manzella, due ex sommergibilisti reduci della guerra. Il sottoscritto e Rizia Ortolani i più giovani, ad ogni modo i più apertamente avidi dei racconti di guerra dei vecchi marinai. Così, tra un bicchiere di ottima falanghina dal gusto meravigliosamente fruttato ed una barzelletta dal sapore simpaticamente retrò, ascolto in silenzio episodi e storie della guerra da brivido.

Pracchi era il motorista del sommergibile della Marina Italiana Velella, scampato solo per una fortuita coincidenza ai siluri inglesi che inabissarono l'unità con l'intero equipaggio. Manzella per più di 20 anni in marina, imbarcato su un'altra unità. Nonostante tutto, la mia e di Rizia attenzione è catturata da un'altra circostanza. Aspettiamo che il capitano di un peschereccio, uscito a pescare, ci dia per telefono la disponibilità ad accompagnarci sott'acqua l'indomani per qualcosa di molto speciale. Un amico pescatore ha visto tempo fa sullo scandaglio qualcosa, molto al largo, che giura essere un relitto. Considerando che la zona è stata teatro di aspre battaglie e di un imponente sbarco alleato, non è improbabile nemmeno che si tratti di un' unità navale militare. Ma quale?

La curiosità è forte e la "febbre" da relitto brucia, alimentata dalle parole di conferma del vecchio marinaio: "mi ricordo, inoltre,che quando ero ragazzo s'inabissò un aereo inglese in quella zona di mare. Il pilota fu salvato da un pescatore che ricevette in dono un orologio tutto d'oro. Andate a vedere, queste sono le coordinate del GPS. Tenete. Speriamo che non entri lo scirocco perchè il posto è molto fuori". Ci consegna un pezzo di carta con una serie di numeri.

La serata è piacevole, il cibo superlativo come la compagnia, ma il tempo passa e non abbiamo notizie. C'è incertezza anche sullo stato del mare. Non rimane che rimandare tutto quanto alla mattina. L'indomani, la disponibilità di barca e marinaio ci rincuora, anche perchè si tratta di una persona che tutti vorrebbero avere sulla testa durante un' immersione subacquea impegnativa. Pracchi viene ci accompagnerà. Così come promesso, alle 15.00 troviamo il capitano con la sua barca in porto. Ha assommato, con l'aiuto di suo figlio, due grandi trame di reti per darci spazio sul quadrato di poppa. La barca è un solido peschereccio dotato di tutte le più moderne attrezzature elettroniche. Imbarchiamo le attrezzature. Per ultime le bombole, due bibo, un 20 e un 24 lt. caricati con aria e due mono da 7 lt. con ossigeno puro per la decompressione. E' quello che è disponibile al momento e dovrebbe essere sufficiente. Sistemato con ordine il quadrato delle operazioni, andiamo in plancia.

C'è un dubbio da chiarire. Il capitano ha confrontato i dati del Gps con le carte e la profondità non coincide con il racconto del pescatore. La cosa non sorprende più di tanto, visto che qui si fa uso indifferentemente di metri e braccia come unità di misura. Le carte ci danno una notizia sconfortante:la profondità nel punto del presunto relitto misura circa 40 braccia, cioè circa 70 e non 40 metri. Ci consultiamo e decidiamo comunque di andare. Con l'acqua limpida di questi fondali il relitto dovrebbe vedersi già dai 50 metri e potremmo sorvolarlo a circa 60 metri, quota limite concordata, avendone una visione discreta pur senza prenderne contatto. Arrivati sul punto, facciamo alcuni passaggi su qualcosa di davvero grande che si stacca da un fondale di circa 80 metri. Il capitano è sicuro che si tratti di un relitto. Va a prua a preparare la sagola alla quale attaccherà una boa segnale. C'è una fastidiosa corrente di scirocco ed è di vitale importanza centrare la nave con il pedagno. Appena la barca è salita un po' sopra corrente rispetto al punto, fila il pedagno, imbraca la cima in eccesso e, attaccata la boa fila tutto in acqua. Non resta che preparci. Pracchi ci osserva incuriosito. Il vecchio motorista, ci chiede delle nostre attrezzature che devono sembrargli parecchio diverse dagli Aro e dalle maschere Davis con cui aveva familiarità in guerra.

In breve, siamo sulle mura di poppa, pronti a rovesciarci in acqua al segnale "motori in folle". E' necessario riavvicinarsi alla boa, poiché la barca ha scarrocciato di una cinquantina di metri a causa della corrente. Quando saltiamo in acqua siamo leggermente affaticati e sudati per la sia pur breve attesa. La corrente si fa sentire e ci dobbiamo mantenere al pallone per non allontanarci dal cavo. La barca si avvicina per passarci la videocamera. Il pedagno a causa della corrente, ha "rubato" molta cima e questa ha un'inclinazione di quasi 45° rispetto al fondo. Minuscole particelle di sospensione e piccole meduse volano nella corrente. A bordo seguono questi ultimi istanti prima della discesa con apprensione. Cosa ci sarà qui sotto? La corrente e l'ora avanzata non ci lasciano il tempo per riposare un istante. Dobbiamo immergerci! Scaricati i gav, scendiamo lungo il cavo verso una destinazione completamente ignota. Compenso la muta con la mano sinistra mentre nella destra lascio scorrere il cavo e mi accorgo di respirare affannosamente sento dietro di me il rumore della valvola di carico della muta di Rizia. La profondità aumenta, la luce diminuisce e non si vede ancora nulla. A circa 45 metri si comincia ad intravedere qualcosa in basso che lentamente prende forma nel blu scuro del fondale: un grosso albero avvolto da una nube di colorati anthias. Molto incrostato, ha una coffa ed è sormontato da una crocetta. Ecco cosa era quell'ombra strana che appariva sullo scandaglio sopra il relitto!

Scendiamo lungo l'albero senza mai abbandonare la cima guida, ce lo consente l'essere la cima stessa molto lasca. Ora il relitto è ben visibile sotto di noi. E' una nave di una settantina di metri circa, ed in perfetto assetto di navigazione. Il pedagno ha centrato in pieno il relitto, circa a centro nave fermandosi poco prima di un grande osteriggio. Un' occhiata al computer: 67 metri. Cerco di mantenere la calma, nonostante oggi non sia troppo a mio agio rispetto a molte altre volte: è molto tempo che non mi capitava un fuoriprogramma in aria profonda. Ho persino l'impressione che il sarago che ho mangiato a pranzo rivoglia la libertà. Mi giro, vedo i fari accesi e Rizia intenta a filmare qualche metro sopra di me. Sorvolo la coperta del relitto che riposa qualche metro più in basso. Vorrei lasciarmi cadere in basso ed entrare dentro la nave, ma so che sarebbe estremamente pericoloso in questo momento e così progredisco mantenendo la quota osservando il resto del relitto. Pur non essendo arrivati nella zona poppiera, notiamo che la nave è intatta scorgendone il profilo finale. Ai lati del cassero, nella parte più alta della nave notiamo una serie di gruette di carico delle scialuppe. C'è il rammarico di non essere venuti con le miscele di fondo adatte e con questo pensiero decidiamo di non prolungare troppo la permanenza, vista anche l'ora avanzata del pomeriggio e la lontananza dalla costa.

A venti metri scorgiamo il profilo della nostra imbarcazione. Nonostante non abbia ancora ricevuto il segnale di risalita, è già sopra di noi e di li hanno calato la cima zavorrata con le decompressive. Il capitano deve aver visto il cambiamento delle bolle, che crediamo abbia seguito durante tutta l'immersione. In deco, vediamo i volti dei nostri compagni di barca curvi sull'acqua per vedere cosa succede sotto. Dopo poco siamo in superficie, sotto la murata della barca. " Allora? Cosa diavolo è?" ci chiedono tutti in coro. Ci guardiamo affaticati, ma molto sorridenti. La risposta all'unisono è irritantemente evasiva, ma non può essere che questa: E' UN GRANDE BELLISSIMO RELITTO!