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I relitti di Scapa Flow
di  Andrea Barbieri
“LAURA C”: il relitto di Saline
di  Francesco Turano
Il relitto regalato
di  Enrico Cappelletti
Il mistero della galera
di  Enrico Cappelletti
Cercare un relitto
di  Enrico Cappelletti
La fine del Breslau
di  Roberto Colella
Scapa Flow e il relitto della Royal Oak
di  Roberto Colella
Gli incrociatori perduti nella IIWW
di  Roberto Colella
Cacciatorpediniere e torpediniere della Marina militare italiana durante la seconda guerra mondiale (1a parte)
di  Roberto Colella
Donne e Relitti
di  Claudio Di Manao
Il Thistlegorm
di  Claudio Di Manao
Perché non vieni in Safari a Shaab Abu Nuas?
di  Claudio Di Manao
Una scoperta casuale
di  Giovanni Rossi Filangieri
Sinai & Diving Heritage Cultural Center
di  Claudio Di Manao
Confronto sulla questione Velella
La flotta fantasma dell'isola di Pag
Operazione Crossroads
di  Claudio Pistocchi e
Lorenzo Ercoli
Un uomo di mare
di  Massimo Vaccaro
Quintino Sella:
Un tuffo nella storia

di  Massimo Giacomazzo e
Alessandro Tagliapietra
Una spedizione Italiana sull'Andrea Doria
di  Giovanni Rossi Filangieri
Il manager mi aveva già rivolto questa insidiosa domanda, solo che lui aveva detto: ‘Perché non VAI in safari’ e gli avevo già detto che no, che io ero allergico ai safari. Ma poi, l’organizzatore del safari il Siliotti, (sì, proprio lui, quello delle guide) mi alletta con un paio di cosine buttate là: un lauto compenso ed una provocazione. Da quando era uscito il suo libro sul Thistlegorm, non aveva fatto altro che punzecchiarmi sulla posizione delle jeep nella stiva due e sulla cucina che, secondo lui era invece una dispensa.
“Guarda, Alberto: là dentro c’è un ceppo? Sì! Ecco: dato che dai tempi di Maria Stuarda gli Inglesi hanno smesso di tagliar teste, quella stanzetta là, sotto l’alloggio del comandante, è la cucina!”
“No! è la dispensa, mi sono documentato al Registro Navale… il ceppo è nella dispensa perché è lì che tagliavano bistecche…”
“E poi giravano per la nave con le bistecche in mano? No, guarda, quella è la cucina!”
“E’ la dispensa… ti sei sbagliato tu… e mi hai sbagliato il libro.”
Ce l’aveva anche con me perché in un mio disegnetto, dal quale avevano ricavato le mappe per gli interni del Thistlegorm, avevo indicato una posizione delle jeep che secondo lui era errata. Secondo lui erano due jeep in posizione longitudinale, secondo me erano tre, ficcate a pettine nella stiva.
Il Thistlegorm sarebbe stata la nostra ultima immersione del programma. Per fortuna nel frattempo avremmo visitato tutti i relitti di Shaab Abu Nuas, sui quali non potevamo litigare in quanto lui li conosceva molto meglio di me.

Era una di quelle barche dell’ultimo minuto. A Sharm el Sheikh le barche sono come con la pizza: ordini una margherita e ti portano una funghi. Di solito, quando cambiano idea, ti danno una barca peggio, ma a volte, secondo la fase della luna e l’umore del manager della compagnia charter, te ne danno una meglio. Non era, il nostro quel caso lì. Era comunque una di quelle rare barche dove il cuoco non è la stessa persona che vi scorrazza in gommone, ma cuoco e gommonauta erano due persone diverse e, malgrado si chiamassero entrambi Mohammed, non s’assomigliavano neanche un po’.

Il mare non prometteva molto bene, e nell’attesa di poter attraversare per Shaab Abu Nuas, tra Sharm ed Hurghada tanto per intenderci, ci sciogliamo un po’ con tre immersioni; l’ultima delle quali a Small Crack, una specie di vicolo di sabbia in mezzo ad aiuole e muretti di coralli tavolo, coralli frusta e coralli cavallo e coralli fiasco. La corrente ti spinge nel vicolo che si restringe così forte che temi di dover restare incastrato e fare da tappo, con tutti i subacquei che ti si ammucchiano dietro. Tutto qua? No. Il motore del gommone si pianta. Il vento soffia, il marinaio sbuffa e suda, la barca diventa sempre più piccola. L’ancorotto? Ooops… non c’è. Odio questo genere di situazioni, soprattutto al pomeriggio tardi. Quelli rimasti a bordo sono per lo più non subacquei: “Che carini, ci salutano!”
Io e Paolo ci guardiamo in faccia ed in un attimo quattro cinture dei pesi diventano un’ancora. (eravamo sulla sabbia della laguna, non rompete che noi non rompiamo mai… i coralli) Il marinaio ci ringrazia commosso.

A me piace il Ghiannis D, un bel cargo forzuto, tozzo, quadrato, sbandato da un lato, spezzettato in tre tronconi. Ad alberto piace il Carnatic, uno steamer del secolo scorso coricato da un lato che trasportava bottiglie di vino. Non so in quale occasione, credo si trattasse di una cena a casa mia, l’avevo sentito disquisire sull’aura ‘romantica’ del Carnatic. Per quanto mi riguarda un relitto può essere spettrale, grandioso… No è romantico, Alberto insiste. Ovviamente il briefing avviene al computer. Alberto racconta fatti, misfatti ed antefatti del Ghiannis D, descrive l’immersione, e poi mi fa:
‘Tu beccati gli open water… cerchiamo di non incrociarci! Odio gli affollamenti’
‘Senti un po’… quant’è che non vai al Thistlegorm?’

Il relitto è sbandato, ma ci sono passaggi molto ampi ed agibili, come la plancia, occhio che vi gira la testa… Ce li porto? Non ce li porto? Anzi ce Le porto? Sono due ragazzine con l’Open Water ed una manciata di immersioni. Sott’acqua vanno benino, niente da dire, ma quando si tratta di buchi e di ambienti chiusi… ecco che le cose cambiano. Gli altri due sono due vecchie lenze della subacquea, di quelli che devi tirarli su con la forza e non escono finché la bombola non finisce.
Il sole penetra dal fianco esposto verso la superficie. C’è luce dappertutto e spazio, niente impigliamenti. Ce le porto. Si incasinano un po’ con le prospettive balorde, poi scoppiano a ridere nell’erogatore. Ci guardiamo il panorama dagli immensi oblò ed usciamo. La plancia non è esattamente un posto chiuso. Ovviamente degli altri due neanche l’ombra. Qualcosa mi dice che se la sono svignata nella sala macchine… No, lì non ce le porto. Quello è un posto chiuso.
Sì, mi piace il Ghiannis D perché è recente, poco incrostato e gigantesco, con un sacco di bei passaggi dove svicolare, intrufolarti e sgattaiolare senza troppi problemi, una specie di divers playground. Mi piace perché i divemaster di entrambe le sponde dello stretto di Gobal non lo hanno massacrato nel fare ormeggi insani sulle battagliole.

Finalmente, Alberto non vedeva l’ora, gi gettiamo sul Carnatic. Un sacco di bei nudibranchi, la caldaia… sembra, come tutti i relitti un po’ vetusti, la carcassa d’una balena, con le centine erose che sembrano costole. Non vedo gli altri. Dove vuoi che siano? Alberto s’era sprecato nei dettagli sulla marca e l’annata del vino. Dove vuoi che siano? Riesci difficilmente a convincere qualcuno che non deve asportare oblò e manufatti dai relitti. Ma prova a convincere un subacqueo italiano che non può portarsi via una bottiglia di vino francese molto invecchiato.
“Ce n’e rimasta sicuramente qualcuna intatta…” l’ottimismo dei subacquei è proverbiale, altrimenti non salirebbero con la bombola vuota, né farebbero tante altre cose da ottimisti.
Alberto, tra l’altro li aveva abbindolati con uno dei suoi racconti dettagliati sulla presenza di 50.000 sterline d’oro a bordo. E chi li tira su prima di notte? Neanche respirano tanto. Ma come!(direte voi) li lasciate fare? Fermi tutti: i soldi sott’acqua sono soldi. Sono come i computers, le torce e gli orologi: sono di chi li trova.
‘E se uno trova tua moglie che s’è persa?’
‘Che se la tenga pure, se si perde le sta bene!’
‘Allora tua figlia… se si perde tua…’
‘Continuiamo a parlare del vino, ti dispiace?’
Devo ammettere, onestamente ammettere, che io stesso avrei delle serie difficoltà a lasciare dov’è una bottiglia incustodita di ‘Chateau X’ o ‘Grand Cru de Y’ di cento anni anche in superficie. So che con questa confessione adesso i miei vecchi amici cominceranno a sospettarmi come il responsabile di alcune sparizioni dalle loro cantine. SONO STATO IO, ERA BUONO. GRAZIE DI CUORE.

‘Ehi! Ma è vero che ti sei picchiato con Alberto? Aveva un occhio nero!’
‘No. E’ scivolato dalla passerella ed ha picchiato contro la scaletta.’
‘A me lui ha raccontato che avete fatto a botte…’
‘Ma ti sembra logico che io vada a picchiare il mio editore? Si picchiano i distributori e gli skippers, mai gli editori!’
La persona in questione, Fernando, del ristorante El Fanar di Sharm el Sheikh, ne era convintissimo: per anni m’aveva ritenuto il responsabile di una rissa nel suo locale. Alberto non poteva aver inventato una storia migliore né poteva aver trovato terreno più fertile per la sua propagazione. Arrivano le telefonate.
‘Ma è vero che in safari vi siete picchiati?’
‘Come sta il tuo naso? Ho visto Alberto con un occhio nero ed ha detto che ti ha spaccato il naso.’
Che ci crediate o no, io non picchio gli editori. Piuttosto ci vado in safari. Rubo il vino, invece.

Adesso vi state chiedendo come è andata sul Thistlegorm con la cucina e con le jeep. Alberto aveva il gruppo che si è fatto l’esterno del relitto, perché a lui piace la vita. A me, invece, piace la morte ed ho preso con me i maniaci delle stive. Mi spiace, ma sulle stive faccio ancora testo io. Me le sono guardate bene, le jeep della stiva 2 e la cucina. Ma lui non c’era.

Buone stive a tutti.