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È la seconda volta che mi capita che qualcuno mi regali un relitto.
Sí proprio un relitto, non moderno, ma antico, medioevale, seicentesco
e in entrambi i casi - fatalità - con molta probabilità spagnoli.

So che si fa molta fatica a credere a una simile affermazione, ma è vero.
Il primo me lo regalò, dicendomelo con fare da smargiasso, il figlio di un
dittatore di un piccolo stato dell'America centrale.
Mi regalò un pomeriggio indimenticabile su un'isoletta ancora oggi deserta frequentata solo dai pescatori di gamberi. Mi ci portò con un Beachcraft bimotore, quello presidenziale, facendo più voli dalla costa per poter trasportare tutta la sua corte di nani e ballerine.
Dall'alto vidi la sagoma scura, ellittica di una vecchia barca stesa appena sotto la superficie del mare proprio nei pressi della riva. Era appena più scuro della sabbia e per verificare meglio andai con pinne e maschera a dare un'occhiata e la prima cosa che trovai fu un ferro di cavallo.
Una nave da guerra, spagnola, poiché gli ufficiali di alto rango potevano imbarcare i quadrupedi.
"Prendila è tua!" mi disse con fare da gradasso. "Ma con tutto quello che c'è dentro" chiesi da stupido. Il relitto è ancora là sul fianco dell'isola che porta il nome di un cibo molto popolare da noi.

La seconda nave l'ho vinta, in una scommessa.
"Scommetti che non mi dà nemmeno retta" mi disse il giovanotto a cui avevo appena suggerito come fare. "Se ho una risposta ti porto una bottiglia di whisky, cosa introvabile da queste parti e ti regalo anche una nave".
Accettai e ci giocammo una bottiglia di poderoso liquore scozzese piú un relitto di nave antica, a mio favore. Laggiù a un paio di miglia dalla costa sabbiosa dove si frangono le onde del mar dei Caraibi giace un relitto a quattro metri di profondità, i resti sparpagliati nella giungla del corallo che lo aveva ricoperto.
Chissà come era finito lí. Ma che tipo di nave poteva essere; forse un mercantile con i pennoni strappati dalla tempesta o un brigantino dalle indubbie insegne che inseguito dalle navi di sua maestà, di notte, ha perso la rotta ed è finito a sfregare la chiglia sul duro corallo che già quattrocento anni fa decorava quel tratto di costa.
Certo da queste parti non è infrequente sentir parlare di navi e relitti tutti inesplorati e neppure segnati sulle carte dei pirati moderni, quelli che dalla Florida partono con regolari licenze in tasca.

Su questo tratto di costa dove mi trovo (e non dico dove per dovere di cortesia di chi mi ospita) per piú di un secolo sono passati i tronfi galeoni che portavano dal Nuovo Mondo verso l'Europa casse di oro in lingotti, pani di argento e rame, oltre a sacchi di monete battute dalle casse reali nei nuovi domíni.
Erano talmente imbottiti che l'onda spazzava i ponti e alle volte, come raccontano le cronache, andavano a fondo per il troppo peso.
E sulla scia di questi incrociavano le squadre avversarie che preferivano affondarli a colpi di cannone mentre nell'intreccio delle mille isole stavano sempre in agguato gentiluomini con la patente di corsa che invece cercavano di impadronirsi dell'oro per conto del proprio sovrano. Ma il vento e il mare, spesso, erano piú temibili degli avversari.
Un repentino cambio del tempo, una manovra errata, una secca o una corrente non tenuta in considerazione e la nave e si fracassava sui coralli del basso fondale spariva tra i flutti. Decine sono i relitti famosi, che hanno reso ricchi i loro avventurosi ricercatori; centinaia quelli che hanno portato alla miseria coloro che speravano di diventare ricchi.

La risposta giunge dopo poche ore attraverso il sommesso ticchettio di un fax. Mentre il foglio esce come una fetta di mortadella dalla lama dell'affettatrice le righe nere confermano che sto diventando per la seconda volta proprietario di un relitto.

"È tuo"- mi trasmette il mio giovane amico.
Raccattiamo le nostre cose e saliamo in barca diretti verso la sottile linea bianca di spuma un paio di miglia di fronte a noi. L'acqua è chiara, il fondo bianco, qua e là grandi pianori di corallo.
"Sta da queste parti, bisogna cercarlo con la maschera" e i due che mi accompagnano si lasciano scivolare nel verde smeraldo del mare.
Dieci minuti dopo l'ancora è gettata a pochi metri da due grandi cannoni. Oltre i due metri di lunghezza. Intorno non se ne vedevano altri e oltre il pianoro di corallo si aprono grandi buche di sabbia bianca dai grani spessi. Ruoto la leva di accensione del cercametalli e lascio che si collimi con il magnetismo del posto.

Poi appoggio il grande piatto raggiato sul suolo. Emette uno squillo fortissimo che smette quando lo sposto o a destra o a sinistra. Il suono indica una linea lunga e stretta sotto la sabbia e dall'intensità posso presumere che il metallo sia circa una cinquantina di centimetri.
Proseguo, passando sulla sabbia il disco che a intervalli regolari emette suoni acuti o deboli indicandomi la profondità dell'oggetto o dell'ammasso ferroso. Non posso fare nulla. Lo sapevo prima di andarci, per esperienza.

È impossibile pensare di poter far qualcosa. Ciò che si può fare è passare il cercametalli alla base dei coralli dove tra le crepe il moto ondoso può aver spinto qualcosa di piccolo ma anche di prezioso.

Puliamo spatolando la sabbia e troviamo pezzi informi di metallo nero che al tatto si polverizza. Troviamo legno e cocci, cocci e pietre amalgamate assieme e poi lunghe aste di metallo, una marra di un'ancora molto piccola e poi....poi
l'aria finisce.
Inevitabilmente.