C'è un punto all'isola di Capraia noto come le Formiche, due speroni di roccia che spuntano dalla superficie marina e che formano una sorta di sella con la vicina costa a strapiombo. Una trappola mortale per gli antichi naviganti. Un punto da evitare, solo osservando la carta nautica, per quelli moderni. Il fondale è una distesa di posidonie, frammista a sabbione e roccia. Una di queste grosse pietre sommerse aveva però una particolarità; un lato liscio che finiva con un angolo abbastanza ben conservato. Chi cerca in mare, e lo conosce, sa che questo elemento, con il suo continuo movimento erosivo non "produce" angoli ma rotondità. L'angolo ritrovato era quindi un elemento che non apparteneva al mare. Solo dopo molte immersioni, e solo osservando radente alle posidonie, intuii la sua vera natura. Altro non era che un grezzo di sarcofago probabilmente etrusco o forse romano finito lì a causa di un naufragio. Sopra quel punto, e parlo di molti anni fa, c'erano passati centinaia di subacquei e nessuno si era accorto di nulla. Pulii l'area circostante dalle posidonie ed il grosso blocco granitico riapparve nelle sue vere dimensioni, indizio di un relitto navale molto antico. Continuai ad andare in quel luogo tutte le volte che potevo, attratto dalla possibilità di individuare qualcosa d'altro, pensando che la nave non doveva essere poi tanto piccola se aveva a bordo un masso di quel genere. Trovai sotto il sabbione alcuni piccoli frammenti di coccio, avanzo di vasellame, tanto piccoli che sarebbero passati inosservati se non ad un esame ravvicinato. Poi individuai un piccolo chiodo, completamente ricoperto di sedimento. Ero sul relitto. Ma verso quale direzione era stato sparpagliato dal mare? Dal CNR di Genova ebbi un paio di libri particolari; la lavorazione del ferro e della pietra nell'antichità ed come funzionavano i trasporti marittimi e le basi di maggior approvvigionamento. Possedevo già altri elementi utili quali le tavole delle profondità marine in epoche passate, le tavole di marea e dei venti predominati. Considerando che la nave non aveva grande manovrabilità poteva essere naufragata solo nel tentativo di cercare un ridosso ed invece la sua chiglia era finita sugli scogli dove la profondità era molto più bassa dell'attuale. L'unica tempesta che avrebbe causato il suo naufragio poteva essere una "grecalata" molto forte e di conseguenza le parti della nave era sparpagliate seguendo il corso del grecale oltre il capo dell'isola. Non solo trovai cocci di maggiore dimensione ma le sue ancore, tre ammiraglie in metallo, che non si possono più asportare. Chi lo desidera può andare ancora oggi alle Formiche di Capraia e vedere il grosso e informe sarcofago e cercare nei pressi, sotto le posidonie, le tre ancore. Questo è il tipico esempio di come si cerca un relitto e chi pensa che si debba usare Gps e scandagli sbaglia perché questi sono utili solo per identificare, e neppure troppo facilmente, relitti di navi in metallo che il mare disfa molto più lentamente e che spesso sono a quote adatte solo ai professionisti. Il Mediterraneo è certamente il mare più ricco del mondo e le coste italiche sono forse tra le ricche di storia. Per chi cerca relitti marini, escludendo, quelli metallici, le nostre coste anche in bassissima profondità, sono un vero parco giochi e, credetemi, non c'è proprio la necessità di superare i margini di sicurezza per trovare anche "cose" di valore storico. Innanzi tutto ci vuole molto spirito di osservazione, non ci vuole fretta ed è necessario spesso immergersi ripetute volte anche in luoghi che non sono così attraenti. Bisogna allenarsi a leggere tra le pieghe del mare perché anche il più piccolo indizio può essere utile. E' molto importante conoscere la predominanza dei venti nella zona in cui si opera e delle corrente, perché questi due elementi sono rimasti più o meno invariati dalla nascita del Pianeta. Le rotte che le navi percorrono oggi sono quelle che percorrevano ieri. Poi è necessario fare attenzione alla storia ed alle leggende, che altro non sono che storia tramandata oralmente, spesso anche molto distorta, ma pur sempre con un fondamento di verità. Avere una cultura, anche minima, di come erano composte le navi di un tempo aiuta a capire meglio e per questo basta leggere alcuni buoni libri di arte marinara e visitare spesso musei dove molti oggetti di poco valore sono frammisti ad ori ed anfore. E' un appassionate lavoro da detective, da ricercatore, in cui gioca molto la passione ed il fascino che i relitti navali esercitano sulla fantasia di tutti coloro che vanno in acqua. Non è un lavoro facile, ma è molto divertente, perché occupa anche tutto il tempo che non si può andare in immersione. E' prassi che partendo da un sassolino si trovi una città nel deserto. La regola vale anche in mare dove la ricerca è molto più complessa ma i modi ed i termini sono pressoché uguali. Così si trovano i relitti o ciò che resta. A Capraia, per terminare la storia, seguendo la rotta del grecale, trovammo altri strani oggetti, ancore quadrate in pietra, metallo, piombo ed anche una sorta di piramide di mattoni. Ma le storie dei ritrovamenti sono tante ed oramai si confondono nella memoria. A Ventotene, mentre tutti era impegnati a fare immersioni sul Santa Lucia, silurato durante la guerra, andavo invece in immersione in poche decine di centimetri di profondità dove avevo notato degli scalini scavati nella roccia. Trovai frammenti e poi due oggetti che neppure il CNR riuscì a spiegarsi di quale materiale fossero fatti. A Vada trovammo dopo mesi di intenso lavoro l'Australia, la seconda nave della compagnia Rubattino di Genova (l'altra l'avevano prestata per la spedizione dei Mille) che era naufragata con una carico di diamanti che aveva caricato a Batavia. Trovammo la testimonianza del naufragio in chiesa, nei registri della parrocchia, perché era l'unico luogo dove la leggenda locale poteva avere un fondamento. E l'Australia era sparsa sotto i pavimenti della Città della Luna descritta da Plinio. So che è l'Australia perché trovammo un piatto e la sua bussola. Solo osservando la carta nautica a Cuba, e non dico dove, trovai due galeoni spagnoli sparsi sui coralli con i suoi grossi cannoni arrugginiti messi ancora in bell'ordine. Il cercametalli suonava all'impazzata sulla sabbia, ma il tempo purtroppo tiranno ci costrinse ad andarcene. L'indicazione l'avevo avuta da un vecchia torre di avvistamento e da parti ferrose sparse sull'arenile. E all'isola della Polenta, in Nicaragua, volando sopra al mare circostante, notai una strana forma tondeggiate, un relitto navale, nel quale rinvenni numerosi ferri di cavallo. Una nave da guerra. Nello Yucatan, individuai un relitto spagnolo, solo seguendo le indicazioni di un indios che pescava e che mi raccontò una storia incredibile. Avevamo solo le mani per scavare però dal fondo sabbioso uscì il ben di Dio. Poi ho visto i relitti veri, quelli ricchi alle Bahamas, e sono stato testimone di quello che si trova e come si depredano. In mar Rosso abbiamo trovato anfore, esattamente ad Hurgada. Roba incredibile, eppure avendo avuto tempo e voglia si poteva proseguire la ricerca, purtroppo come tutte abbandonate perché non si può fare altro. Rimane il piacere di aver scoperto qualcosa e di essersi arricchiti, non materialmente come di solito si è soliti pensare. Due anni fa in Croazia, partendo dalla base della flotta francese, abbiamo ritrovato in sequenza una nave del XVIII secolo con i suoi grossi cannoni e tre relitti di epoca romana. Una tempesta li aveva portati tutti nel medesimo punti e su quel crinale subacqueo, probabilmente sepolti da metri di sabbia e detriti ci sarebbe da recuperare un'infinità di cose. Indubbiamente la maggior soddisfazione della mia "carriera" di subacqueo l'ho avuta quando sono andato, nel 1971 ed il successivo anno, nella laguna di Truk, oggi Chuk, per cercare le navi della flotta giapponese. Quella incredibile storia è rimasta chiusa in una scatola di cartone blu, ma oggi forse diventerà un libro dedicato a tutti coloro che amano cercare i relitti. Già andare in mezzo al Pacifico a quei tempi era un'impresa, ma era altrettanto difficile immergersi in un territorio così sconosciuto. Chi l'ha visitata oggi pensa sia stato facile; i relitti sono ovunque. A disposizione avevamo un LC (landing craft, il classico mezzo da sbarco) e delle sbiadite fotografie della ricognizione area. Trovammo ed identificammo la maggior parte dei relitti ricavando delle ipotetiche misure dalle fotografie e trasportandole sulla carta nautica (in fotocopia) e sondando il fondo come avevo visto fare dai pescatori in Sicilia; una lunga fune ed una pietra. Ogni volta che la pietra incocciava scendevamo a vedere. Quando sento che la subacquea è in crisi e che la gente si annoia ad andare sott'acqua preferendo andare nei mari tropicali, mi viene da pensare che la voglia d'avventura sia solo quella erogata dallo schermo televisivo. Qualunque specchio d'acqua conserva un segreto e non è necessario andare chissà dove per scoprire qualcosa. Basta leggere, osservare, ascoltare ed avere il desiderio di scoprire per assicurarsi il successo di un ritrovamento.
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