Testo  di
Andrea Ghisotti
Era un bel pò di tempo che Stefano Baldi e Roberto Monticciolo, i miei compagni d’immersione siciliani, insistevano per occuparci, dopo il Loreto e il Chinotto, di un altro relitto fondo siciliano. Si trattava dell’Espresso Trapani, un traghetto che era affondato nel 1990 al largo del porto omonimo. Un naufragio assurdo, che aveva provocato 13 vittime. Assurdo perché era avvenuto in una bella giornata di mare piatto come l’olio, con vento a regime di brezza. Eppure le tragedie avvengono anche in queste condizioni. Il traghetto, proveniente da Livorno con a bordo 68 tir, 66 dei quali a pieno carico, era ormai a mezz’ora dall’arrivo. La rotta d’avvicinamento a Trapani prevedeva il passaggio al largo dei Porcelli, una serie di scogli sormontati da un faro, un’ampia virata e la rotta diretta sull’ingresso del porto. Il problema risiede forse in quella giornata un pò particolare, festa di S.Francesco di Paola a Trapani, patrono dei marinai. Molti dell’equipaggio e dei camionisti erano di Trapani e non volevano perdersi i festeggiamenti, la processione e la serata in compagnia di familiari e amici. Così pare che fossero stati mollati in anticipo cavi e braghe che tenevano fermi i camion. Al momento della virata, forse un po’ troppo brusca, forse a velocità un po’ eccessiva, il carico era sbandato e la nave aveva avuto delle tremende oscillazioni, che avevano determinato il definitivo spostamento del carico sulla murata di babordo e il coricamento del traghetto su lato destro. Per fortuna la maggior parte degli autotrasportatori era in coperta, a vedere una regata velica che avveniva proprio intorno ai Porcelli. Si ritrovarono in acqua in un attimo. Alle 16.58 la sbandata, 19 minuti dopo della nave non c’era più traccia. Immediato l’allarme e il soccorso da parte di un aliscafo e da mezzi della guardia costiera di Trapani. Recuperati 39 superstiti, insieme a 6 salme. Di altri 7 passeggeri, nessuna traccia. Una beffa crudele per il comandante, Leonardo Bertolino, che era al suo ultimo viaggio prima della pensione. Aveva detto alla moglie: “ vieni anche tu, è l’ultima occasione e con questo mare calmo sarà come una crociera”. Entrambi sono periti nel naufragio.

Questa la storia dell’Espresso Trapani, come l’ho trovata leggendo i giornali dell’epoca. Fu aperta un’inchiesta, si immersero sullo scafo gli uomini della RANA di Ravenna, poi sul relitto scese l’oblio. Ma A Trapani la memoria della tragedia rimaneva ben viva.
Personalmente non mi piacciono i relitti recenti e in particolare quelli dei traghetti, che considero navi goffe, brutte e poco significative, ma era tanta l’insistenza di Stefano e Roberto, che alla fine acconsentii a dare un’occhiata al relitto. I due si misero quindi all’opera (era il 2002) e lo cercarono strenuamente. Ma, tra il dire e il fare, c’è sempre di mezzo il mare e mai la norma è più vera che per un cercatore di relitti. Tutti sembravano conoscerne perfettamente la posizione: pescatori professionisti, marinai, capitanerie, subacquei, pescatori dilettanti. Poi, al lato pratico, quando si trattava di tirar fuori una posizione precisa, era un disastro totale. Alla fine, stufi di tante voci senza fondamento, Stefano e Roberto si misero all’opera con l’ecoscandaglio, trancorrendo parecchie giornate a settacciare i fondali. Ma la navona sembrava scomparsa. Arriviamo così al maggio del 2003, quando me ne scendo in Sicilia a caccia di relitti. L’espresso Trapani è tra quelli da trovare. La zona di ricerca è vasta, ma mettiamo a punto un piano ben fatto. Innanzi tutto studiamo la probabile rotta della nave e delimitiamo sulla carta un’area di ricerca piuttosto vasta. Andiamo prima a vedere due punti indicati da altri presunti conoscitori del sito, che risultano ancora una volta del tutto inesatti. Caliamo al centro della zona del presunto affondamento una boa e iniziamo la nostra griglia di ricerca. E’ un lavoro che inizia baldanzoso, come sempre e dopo qualche ora ci vede cotti dal sole, dal mare, stufi, demotivati. Roberto e Stefano pisolano al lento borbottio del motore, io non demordo e continuo a tracciare invisibili passate avanti e indietro, cocciuto, ostinato. E così arriva il momento dell’impennata del tracciato, del ritorno trepidanti sul punto e di un nuova impennata, di una successiva traccia massiccia che si innalza per più di venti metri dal fondo, delle mire, del punto gps e dei festeggiamenti. L’Espresso Trapani è nostro e non dobbiamo ringraziare proprio nessuno, l’abbiamo trovato da soli.

L’immersione la programmiamo alcuni giorni dopo. Il mare è piatto, il tempo buono. Ritroviamo il punto senza problemi, gettiamo il pedagno di fianco al relitto, sul fondo, che non è a 92 metri come dicevano i giornali dell’epoca ma a 105-106 m. Vestizione aiutati da Roberto e giù in acqua. C’è un filo di corrente, ma niente di trascendentale qui al largo, dove talvolta può essere un fiume. Si scende. L’acqua via via diventa più torbida. 70, 80 metri e ancora non si vede niente. Diventa scuro, proprio buio, 90 metri e ancora niente, 100 metri e si intravvede qualcosa, una massa enorme, ci siamo. Tocchiamo il fondo e, a seconda dei computer sono106 o 107 metri. L’Espresso Trapani è davanti a noi, purtroppo girato non su un fianco, come speravamo, ma quasi capovolto. Siamo lungo la fiancata sinistra, che è un po’ sollevata dal fondo. Proseguiamo verso prua, mentre mi accorgo che c’è troppo poca luce anche per la pellicola da 3200 ISO che ho nella macchina. Ecco il ponte di comando, enorme. Ci separiamo per esplorarla da due punti diversi. Vedo un salvagente legato a una cima, poi mi affaccio ai finestroni della plancia e illumino l’interno. E’ un ammasso di materiali crollati per lo sbandamento. La plancia è piuttosto avanzata verso prua e ben presto mi trovo sul castello, che è rivolto verso il fondo, inclinato di 45°. Mi allontano per riprendere Stefano mentre sbuca dalla prua. Ci sono saraghi in acqua libera e muri di anthias. Scatto con 1/4 di secondo, cercando di stare il più fermo possibile in acqua libera. Vedo una grande ombra sopra di noi, non capisco, che sarà mai? Anche Stefano la vede e mi dirà poi che di primo acchito ha pensato a una balena. Finalmente capisco, è l’enorme bulbo della chiglia, che sporge in avanti. Bene, dopo gli daremo un’occhiata. Prima tocca alle ancore, entrambe negli occhi di cubia. Fotografo Stefano inginocchiato presso quella sinistra, poi finalmente ci avviciniamo al grande bulbo che sembra proprio la gola di una balenottera, con le sue nervature parallele di rinforzo. C’è un filino più di luce qui, siamo a una novantina di metri e scatto altre foto. Ci siamo, il tempo sta per scadere. Un cenno d’intesa, Stefano sgancia il G-bag e lancia il pallone. Pochi secondi e abbiamo in mano la rassicurante cima di risalita. Poi è routine, freddo e una lunga attesa prima di sbucare al sole di maggio e di brindare all’impresa in un bar di Trapani.






 <<<

 scheda

 storia

 foto storiche

 immergersi con

 pubblicazioni