Le ultime ore
di
Piero Mescalchin
L'appellativo "Corazzato" deriva dal fatto che tutt'intorno era cinto da una protezione di acciaio spessa fino a 20 centimetri. Nel Museo Storico Navale di Venezia ritroviamo il nome, che stava sulla poppa della nave. Per contrastare le scorrerie delle siluranti austriache di base a Pola, era stato deciso che una squadra navale scortata dall'Incrociatore Amalfi, compisse una perlustrazione fin sotto le coste Istriane. Partito da Venezia la notte del 7 Luglio 1915, alle 4 del mattino, dopo 20 miglia di navigazione, la sua enorme sagoma fu avvistata dal sommergibile austriaco U26 nella notte estiva, rischiarata dalla luce della luna. Il siluro venne perciò lanciato con estrema precisione e colpì la nave sul lato sinistro, in corrispondenza del compartimento centrale delle caldaie a carbone. Le cronache narrano che dopo soli 6 minuti la nave si era già capovolta completamente e dopo altri 4 minuti si inabissò.
Nonostante il poco tempo a disposizione, riuscirono a salvarsi 652 uomini su 719 che si trovavano a bordo. Ciò fu dovuto soprattutto alla disciplina dell'equipaggio e alla manovra del Capitano di Vascello Riaudo, comandante dell'Amalfi, che dopo lo scoppio fece porre barra a dritta contenendo così l'effetto dello sbandamento a sinistra provocato dalla falla. Nel frattempo i naufraghi vennero raccolti dalle torpediniere CALIPSO e PROCIONE accorse prontamente. Prima di lasciare il luogo del disastro, vennero lasciati dei segnali nel luogo dell'affondamento per dar modo di compiere ulteriori accertamenti.
Nel 1919 e nel 1921, a guerra finita, si tentò di localizzare il relitto, ma il punto stimato e i limitati sistemi di ricerca, resero l'operazione alquanto difficile.
Col sistema della sciabica, trascinando cioè un cavo di acciaio lungo 300 metri, ci volle parecchio tempo prima che qualcosa si impigliasse nei rampini di ricerca.
Al palombaro che per primo si immerse, la nave apparve completamente capovolta, sprofondata nel fango fino al piano di coperta. A 14 metri di profondità si trovava la chiglia, mentre le 2 eliche erano a 18 metri. I 3 fumaioli, le 6 torri binate, la plancia di comando, giacevano e giacciono tuttora schiacciate sotto il peso dello scafo. A nulla era servito il rivestimento di acciaio che avvolgeva la nave e che ancora oggi possiamo ammirare. Le corazze costruite in acciaio al Nichel-Cromo, di 20 centimetri di spessore, erano poste sulle murate nella linea di galleggiamento. Dal 1924 iniziò un sistematico smantellamento col recupero della quasi totalità del rivestimento corazzato, un vero tesoro per l'industria metallurgica del dopoguerra. Vennero recuperate dalla ditta Scavone di Venezia anche le 2 eliche di bronzo. La demolizione, ottenuta attraverso il brillamento di un'enorme quantità di cariche esplosive, non risparmiò nulla e si recuperò tutto quanto fu possibile, finché si arrivò al piano di coperta. Le sovrastrutture della nave sono in parte coperte dal fango e scardinate dalle esplosioni. Il disegno tratto dal testo "Storia della Marina" edito dai Fratelli Fabbri dà un'idea della struttura della nave molto più chiara di quanto non si possa avere osservando i pochi resti disseminati sul fondo. Nel 1986 il relitto venne ritrovato con non poche difficoltà, da due sommozzatori Veneziani, basti pensare che essendo stato lo scafo completamente demolito, il segnale dato dall'ecoscandaglio evidenziava sul fondo una depressione con ostacoli non più alti di 1 metro. Purtroppo l'opera di recupero così sistematica ha privato i subacquei del nostro tempo di uno spettacolo incomparabile.






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